Benvenuto nel blog di Giovanni Somma
di Isabella Barbato
Foto di Giovanni Somma
Si è tenuto l’altro ieri il finissage di Panorama, la mostra fotografica presentata dal fotografo e artista italiano Alessandro Valeri e ospitata nella galleria d’arte contemporanea Aica, voluta fortemente dal gallerista Andrea Ingenito, che ne ha curato personalmente la selezione e l’esposizione.
Questa personale di Alessandro Valeri, ambientata nella fine anni ottanta a New York e che ripercorre i luoghi storici frequentati da Andy Warhol nel suo ultimo anno di vita, è stata inaugurata al Pan Palazzo delle Arti di Napoli, lo scorso 23 gennaio.
L’ idea di arrichire il concept è di Andrea Ingenito che ha accolto, nella sua galleria, alcuni scatti originali da cui sono tratte le opere esposte al Pan ed alcuni scatti provenienti dall’archivio personale di Valeri, mai esposti prima a Napoli.
Le opere rappresentano le strade, i volti, i corpi, le realtà urbane di una fascinosa New York che sembra rimasta senza tempo insieme ai soggetti in movimento, dove la mappatura umana e urbana diventano un tutt’uno, dove i passanti diventano gli stereotipi dei luoghi e viceversa.
Valeri, attratto dalla necessità di una continua sperimentazione di nuovi linguaggi visivi e dalla voglia di ripercorrere e rileggere, sottolinea i particolari quasi a voler “sporcare” e ricodificare le sue opere con l’ausilio di graffi, scalfitture e pennellature e con l’uso particolare di materiali come sali minerali e bitume, tecnica che ricrea un effetto vintage e fa da contrasto agli sfarzi e al glamour urbano della grande mela. Questa ricerca alternativa ci regala luoghi vicini alla nostra memoria mentre i soggetti sono elementi in espansione, volti verso il divenire e non ibernati nel contesto storico ormai entrato nel nostro immaginario collettivo.
Le immagini mostrano l’accumulo urbano nella sua quotidianità con i volti e le vetrine delle drogherie segnati da una tragicità estetica, scene quotidiane e squarci contemporanei che raccontano della tribalità della metropoli.
Immagini evocative segnate da piccoli accenti pittoreschi che fermano i particolari e che l’autore usa per inviare indicazioni all’osservatore. Accenti in rosso, in giallo, in verde . Vernici che colano e mani che contaminano il traffico impazzito con il bitume color petrolio che riesce a dare un tocco di surrealtà alla città simbolo del consumismo e di una forsennata produttività e ci regala una percezione diversa degli angoli storici newyorkesi.
Interessanti anche le sezioni che raccolgono alcuni nudi che, lavorati con sali particolari, trasformano i corpi in paesaggi e condizionano la nostra percezione dello spazio, facendoli sembrare enormi dune di carne.
Nella raccolta esposta all’Aica troviamo anche immagini di repertorio legate all’attività di fotografo glamour in cui Valeri si è distinto: una Naomi Campbell ritratta con enormi ali nere in una rappresentazione quasi astrale, tribale, sciamanica che simboleggia le iconografie che scappano dalla pubblicità, dal quotidiano. e dalla memoria collettiva, per ritrovarsi in uno spazio parallelo, lasciando il tempo di una rilettura profonda dell’umano e degli stereotipi del nostro tempo.
“Panorama” parte dal Pan, si sofferma all’ Aica per una ulteriore riflessione dettata da scalfitture e pennellate al bitume, e riparte in giro per l’Italia: prossima tappa Genova.
E’ iniziata ieri, 01 Novembre 2012, e si concluderà il giorno 14 Gennaio 2013 la Mostra“Immagini e Parole” dedicata ad uno dei più grandi fotografi del XX secolo, Henri Cartier-Bresson. La mostra raccoglie 48 opere del celebre ritrattista, commentate, con didascalie d’Autore, da amici e conoscenti celebri del fotoreporter francese. Inutile sottolineare la bellezza di alcuni scatti famosi, come “Domenica sulle rive della Marna”,
dalla struggente e penetrante semplicità che, come in un quadro di Manet, ci prende, ci rapisce e ci porta, quasi, al fianco dei personaggi ritratti. Altra opera presente alla Mostra il celeberrimo “Dietro la Stazione Saint Lazare”
in cui la superba composizione, le geometrie perfette dei triangoli, i riflessi nell’acqua sottostante che esaltano il “mondo che è sù”, il balzo dell’uomo che si ripete nel manifesto affisso in lontananza, sul secondo piano, si fondono in un’ unica e sublime immagine che, a modesto avviso di chi scrive, incarna e rasenta la quasi Perfezione. Altra celebre e commuovente foto è quella nota come “Dessau”,
in cui una prigioniera riconosce nella persona che si trova di fronte una spia che l’aveva “venduta” al nemico. Anche qui la geometria la fa da padrone, il triangolo, per la precisione: un triangolo nelle forme , se andiamo a vedere il posizionamento delle due prigioniere e dell’ufficiale tedesco seduto. Un triangolo nei moti dell’animo e delle coscienze, in cui l’odio di una, il muto dolore dell’altra e l’immobilismo gelido del volto del soldato ne rappresentano i tre vertici. Interessante notare, poi, come anche quelli che, oggigiorno, sarebbero definiti, dai puristi, come degli errori, in Cartier-Bresson vadano, invece, a ribaltare la media opinione comune, imponendosi come punti di forza, come “sacrifici” necessari pur di immortalare, senza rischiare di perdere quella determinata espressione o quel particolare gesto. Faccio riferimento, ad esempio, al particolare della foto qui di seguito,
in cui il cappello leggermente “tagliato”, fuori inquadratura ci dice che, spesso, non si può essere perfetti nella composizione, se si vuole portare a casa lo scatto, così come pensato e voluto. A sostegno di tale tesi, basti ricordare il periodo storico in cui il francese ha svolto la propria attività fotografica. Precursore del fotogiornalismo, negli anni ’30,’40, ’50, ‘60 non era facile andare in giro e documentare: non aiutava la mentalità del tempo, non aiutavano certo le attrezzature tecnologiche. Il Genio risiede in questo, nell’essere l’antesignano, il primo, il pioniere indiscusso.
Alla luce di queste lusinghiere considerazioni, pertanto, tralascio di soffermarmi su alcune foto presenti le quali, secondo il modesto parere del sottoscritto, non meritano una vetrina così esclusiva come una Mostra, non brillando esse particolarmente né per composizione né per originalità né per estro. Si deve sempre essere attenti nel non cadere nel facile tranello che tutto ciò che è stato (un tempo) nuovo, primo, antesignano sia (oggi) obbligatoriamente anche Arte. E questa Regola tanto semplice quanto veritiera, ce lo concederà il nostro grande fotografo francese, non risparmia neanche lui !
Giovanni Somma
Dopo il grande successo ottenuto a Roma, apre al pubblico, il giorno 1 Novembre 2012, presso la Reggia di Caserta, la mostra “Henri Cartier-Bresson. Immagini e Parole”, organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Architettotonici Paesaggistici Storici Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Caserta e Benevento in collaborazione con Civita, Contrasto, Magnum Photos e Fondation Cartier-Bresson.
Quarantaquattro fotografie tra le più suggestive del grande maestro della fotografia in bianco e nero, accompagnate dal commento, tra i vari, di Aulenti, Balthus, Baricco, Cioran, Gombrich, Jarmusch, Kundera, Miller, Scianna, Sciascia, Steinberg e Varda.
Chiose “d’Autore” , celebri didascalie, che accompagnano ogni foto del celebre ritrattista, rilasciate da personalità parimenti illustri ed autorevoli che, nel tono confidenziale dell’amicizia, commentano le opere fotografiche del Maestro francese. La mostra, che chiuderà i battenti il giorno 14 Gennaio 2013, offre una panoramica sintetica ma esaustiva dell’opera di Henri Cartier-Bresson. Uno sguardo sull’ inventiva geniale ma, al tempo stesso, puntuale e precisa, del celebre fotografo, famoso sia per la sua innata abilità nell’ Arte della fotografia “rubata” , dello scatto naturale, colto all’ improvviso, sia per lo studio maniacale delle geometrie urbane in cui egli sapeva inserire l’elemento umano esaltandone e, all’ unisono, valorizzandone le strutture architettonico-urbanistiche.
Giovanni Somma
Il grande regista Stanley Kubrick, in veste indedita di fotografo, in esposizione al PAN di Napoli con 168 scatti dal 13 Luglio 2012 al 09 Settembre 2012.
Di seguito il link con maggiorni notizie e approfondimenti:
Giovanni Somma
Guardare, vedere, osservare, fissare sono verbi solo apparentemente simili tra loro che, nella realtà, possiedono, tuttavia, una specificità semantica ben delineata. E’ già la lingua italiana, dunque, che mi viene in aiuto nella redazione di questo articolo, evidenziando come possano essere differenti tra loro gli atteggiamenti adottati quando qualcosa si trova davanti ai nostri occhi. Vedere e guardare, ad esempio, non rappresentano la stessa azione effettuata dall’occhio. Con il vedere, infatti, facciamo riferimento ad una mera attività di visualizzazione più superficiale, generica, vaga. Il guardare, invece, include uno step ulteriore in cui, oltre alla visualizzazione, sia presente un’attenzione maggiore, un focalizzarsi su ciò che si ha davanti. Nel primo caso parlerei di un’attività passiva sia dell’occhio sia della nostra soglia di attenzione. Nel secondo caso, invece, è presente un impulso dinamico nell’attività di visualizzazione che necessità, come presupposto, di una maggiore consapevolezza e attenzione. Tale premessa risulta doverosa per comprendere come, in campo fotografico, sia fondamentale che il fotografo abitui l’occhio a non posarsi in modo generico sul mondo circostante ma a soffermarsi con attenzione su di esso, analizzandone dettagli e particolari, per ricomporre il tutto, alla fine, secondo la propria personale visione ed interpretazione artistica. Il concetto è, dunque, quello di partire dalla realtà per analizzarla e per creare, successivamente, una personale chiave di lettura fotografica di essa. Partire dal dato empirico per terminare nella pura soggettività, nell’Arte.
L’educazione dell’occhio parte dalla vista ma sottintende, come premessa, una costante attività di presa di coscienza del dato esterno da parte del nostro cervello: guardiamo e fotografiamo con gli occhi ma lo facciamo (o dobbiamo imparare a farlo) anche con la testa, essendo presenti sempre a noi stessi, valutando attentamente ciò che vediamo, eliminando il “cattivo”e fotografando il “buono”. Si tratta di una vera e propria attività discernitivo-deduttiva che ha come scopo quello di condurci all’ “unicum” fotografico: il nostro scatto.
Aggiungo alla questione un’altro aspetto collaterale ma altrettanto rilevante: giungere alla personale interpretazione della realtà, utilizzando i propri occhi e la propria testa, ma passando, tuttavia, attraverso il lavoro e le opere di altri fotografi. Arrivare a creare un proprio stile, dunque, guardando allo stile altrui. Attingere dagli altri, dalle loro idee per partorirne di proprie. Guardare ai pregi e ai difetti di terzi per valorizzare e smussare, rispettivamente, i propri pregi e difetti.
Volendo, a questo punto, riassumere brevemente quanto precedentemente esposto, mi viene da dire che è importante, per chi voglia avvicinarsi al mondo delle fotografia, volgere le proprie energie in due differenti (ma convergenti) direzioni: imparare, da un lato, a guardare con attenzione la realtà che lo circonda e prendere l’abitudine di guardare, dall’altro, le fotografie altrui. Il perseguire tali attività con assiduità e costanza fornirà all’utente la possibilità di maneggiare quegli strumenti che contribuiranno a creare il suo personale stile fotografico, il suo “unicum”.
Orbene, passando a questo punto all’aspetto pratico, il lavoro di guardare la realtà, restando presenti a se stessi, consiste in una sorta di allenamento visivo con il quale abituare gli occhi ad osservare, con grande attenzione, la tipologia e la qualità della luce che si trova negli ambienti in cui quotidianamente viviamo. Faccio riferimento, ovviamente, sia alla luce naturale del sole che a quella artificiale delle varie lampadine, lampade, neon, etc. Bisogna imparare a guardare i volti ed i corpi delle persone, valutando le svariate cromie e le differenti intensità con le quali la luce avvolge tali volti e tali corpi. Bisogna imparare a coglierne le differenze e a riconoscere quali di queste siano migliori per ottenere belle foto. Complementare a quest’ultima attività e non meno importante, poi, è quella di “geometrizzazione” della realtà circostante. Abituare gli occhi, cioè, ad individuare gli elementi geometrici presenti sulla scena (quali diagonali, rette, curve, elementi e colori uguali che si ripetono) rendendoli, laddove possibile, punti di forza dello scatto. Solo il tempo e l’allenamento costante possono garantire la completa padronanza di entrambe le facoltà.
L’altro grande lavoro visivo che è necessario compiere per migliorare il proprio livello fotografico consiste, come sottolineavo precedentemente, nel guardare, prendendone spunto, le foto altrui, i capolavori dei grandi fotografi/artisti, in primis, senza disdegnare, tuttavia, gli scatti di pregio dei fotografi definiti “di battaglia”, come possono essere, ad esempio, i fotoreporter e i fotografi di cerimonia. Ognuno di essi fornirà all’utente miriadi di informazioni utili, ognuno di essi, rappresentando la realtà dal proprio personale punto di vista, darà spunti di riflessione sempre nuovi e inaspettati. Il relazionarsi con tali fotografie sarà, man mano che si procede con l’ allenamento visivo, fonte di grande arricchimento culturale, ci donerà nuove prospettive di vedute, ci fornirà originali idee fotografiche cui attingere, ci offrirà spunti dai quali partire per sviluppare, successivamente, un proprio stile, ci darà la capacità di discernere ciò che è valido da ciò che non lo è, ci farà crescere, in poche parole, e ci renderà dei fotografi migliori.
Giovanni Somma
Il primo premio della World Press Photo, prestigiosa rassegna internazionale, che vede gareggiare i più grandi fotoreporter del mondo sui temi di attualità più scottanti avvenuti nell’anno precedente, viene attribuito, per l’anno 2012, allo spagnolo Samuel Aranda, impegnato a raccontare la primavera di rivoluzione medio-orientale e araba. Fuori dal podio celebri foto come quelle raffiguranti la cattura di Osama Bin Laden.
Entrando nello specifico della descrizione dello scatto vincitore, “ictu oculi” di grande impatto emotivo , esso raffigura una donna Yemenita, coperta interamente da un burqa nero, accovacciata ad un parente ferito, ritratta nell’intento di abbracciarlo teneramente e di portargli conforto. Sorvolando sull’aspetto tecnico della luce molto bella ed avvolgente che caratterizza lo scatto e che si nota, in particolar modo, su parte del volto e del busto del ferito, preme qui sottolinearsi il grande pathos che emerge nel contrasto cromatico ed espressivo dei due corpi. Al viso sofferente dell’uomo ed al suo torso nudo, fa da contrappeso il grande velo scuro e apparentemente inespressivo della donna che, nonostante resti celata dietro ad esso, rivela un’innato senso di protezione e di cura, palesato dal capo chino rivolto all’uomo e dalle braccia che lo avvolgono come in un figurata ed amorevole alcova. Questa scena così, oderei definire, materna e quasi cristallizzata, tale risulta essere il suo impatto agli occhi di chi la guarda, viene ancor più enfatizzata dal luogo di dolore e sofferenza in cui tale episodio si staglia. Ciò sembrano indicarci, infatti, il braccio ed il capo di un altro uomo, steso a terra e presumibilmente in difficoltà, che si intravedono sulla destra.
Concludo suggerendo di visitare, non appena sarà in Italia, la mostra World Press Photo 2012, di solito allestita a Roma e a Napoli. Un’occasione per ammirare foto dal grande pregio artistico ma, soprattutto, dall’indiscusso valore narrativo e di forte denuncia di cruente realtà mondiali tanto frequenti ai giorni nostri quanto ai più ignote.
Segnalo di seguito alcuni utili link, in italiano ed in inglese, alla rassegna fotografica:
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Giovanni Somma
Questo articolo intende essere un breve memorandum di semplici ed utili notizie per migliorare, in pochi passaggi, il proprio modo di fare fotografia. Non ha la presunzione di volersi sostituire ad un corso fotografico. Anzi, esso vuole rappresentare una rapida guida per l’appassionato di fotografia il quale, tuttavia, abbia già chiari principi e concetti fotografici quali, ad esempio, tempi di scatto, diaframmi, valori iso, etc.
1) Nitidezza dell’ ambiente in cui si fotografa
Una foto d’atmosfera, che voglia suscitare emozioni in chi la guarda, non può prescindere dal tipo di luce e nitidezza dell’aria che è presente al momento in cui si intende scattare. Questo aspetto che, quasi sempre, viene sottovalutato dal principiante o dal fotografo medio, rappresenta il valore aggiunto di una foto. Scattare in giornate in cui l’umidità è assente o quasi, ad esempio dopo un temporale, consentirà di immortalare particolari del paesaggio, anche a notevoli distanze, conferendo all’immagine una gradevolezza e una chiarezza senza pari. Al contrario, decidendo di fotografare in una giornata uggiosa, con presenza di nuvole e nebbia, sarà buona norma sfruttare tali eventi atmosferici a proprio vantaggio, mettendoli in risalto e conferendo, in tal modo, un atmosfera “magica” allo scatto.
2) Momenti della giornata in cui si fotografa
Altro elemento caratterizzante, che può fare la differenza tra una semplice foto ed una bella foto, è la scelta dell’ora in cui si decide di fotografare. In linea di massima, un paesaggio va immortalato all’alba o al tramonto, in quanto, solo in questi particolari e brevi lassi di tempo, il sole, basso sull’orizzonte, “accarezza” gli oggetti, valorizzando la loro tridimensionalità e creando ombre piacevoli e non invasive. Nel contempo, la luce che si genera in questi momenti, sui toni caldi del rosso, dell’arancio e del giallo, contribuisce a creare un’atmosfera amena e tranquilla. Vada da ultimo tenuto presente che, nella fotografia di paesaggio, si deve utilizzare un solido treppiedi che doni stabilità alla macchina e ci consenta di utilizzare, ove necessario, tempi di scatto più lunghi. Tali regole, appena elencate, valgono in linea di massima anche per i ritratti. Quando, invece, non risultasse possibile scattare in tali momenti, si dovrà tenere presente che il sole, alto nel cielo, tenderà a creare delle fastidiose ombre sui volti dei vostri modelli. In tali situazioni, potranno esserci d’aiuto l’utilizzo di un flash, opportunamente regolato per non risultare troppo invasivo, o di un pannello riflettente che schiariranno tali ombre, donando luminosità e lucentezza.
3) Scelta del luogo in cui si fotografa
Ugualmente importante è la scelta del luogo in cui fotografare. In questo caso faccio, ovviamente, riferimento al ritratto, essendo impossibile spostare un paesaggio ! Se ci si trova, ad esempio, in un luogo chiuso, quale potrebbe essere una stanza di un appartamento, la prima valutazione da fare sarà quella di posizionare il soggetto in modo che nulla degli oggetti e degli arredamenti abbia a procurare fastidio allo scatto. Questo varrà per cose che si trovino sia alle spalle del modello che davanti. Altra buona norma sarà quella di avvicinare la persona ad una fonte naturale di luce (una finestra) o ad una artificiale (una lampada), posizionando il volto della stessa in modo tale da essere illuminato da un solo lato. Da evitare, invece, (a meno che non si vogliano creare effetti artistici quali, ed esempio, le silhouette) è il cosiddetto “controluce”, fastidioso effetto che si ottiene quando il soggetto, posto vicino ad una fonte diretta di luce, si pone di spalle a tale fonte, non “offrendo” il proprio volto all’illuminazione e rendendolo, in tal modo, scuro. Sarà possibile, dunque, seguendo tali facili accorgimenti, ridurre o eliminare totalmente l’utilizzo del flash e lasciare inalterata l’atmosfera presente al momento dello scatto.
4) Primo, secondo e terzo piano della profondità di campo
Una foto di grande impatto deve essere ben bilanciata e composta in modo tale che il primo piano della profondità di campo (detto anche piano principale), il secondo piano e, molto spesso, anche il terzo piano siano in relazione tra loro. Con profondità di campo, in primis, faccio riferimento alla distanza dietro al soggetto (o oggetto) messo a fuoco. Il neofita tenderà, generalmente, a dare attenzione e risalto solo a questo piano concentrandosi solo su ciò che viene messo a fuoco e trascurando ciò che si trova alle sue spalle. Il fotografo, valuterà, di contro, anche ciò che si trova alle spalle del soggetto inquadrato, decidendo, secondo le proprie inclinazioni e i propri gusti fotografici, se eliminare, sfocando, ciò che si trova dietro o se, invece, inquadrarlo dando ad esso risalto e creando una sorta di “collegamento” tra ciò che è posto sul primo piano e ciò che si trova sul secondo. Si dimentica spesso che la fotografia ha tra i suoi primari scopi quello di comunicare, di fornire a chi guarda il maggior numero di informazioni possibili con un singolo scatto. Saper mettere in relazione primo e secondo piano di campo, oltre a conferire all’immagine una maggiore enfasi, un maggior pathos descrittivo, aiuta il fotografo a svolgere al meglio tale compito esplicativo perché aumenta fisicamente lo spazio nel fotogramma in cui poter inserire elementi informativi. Tutto quello appena enunciato può essere esteso per analogia anche al terzo piano di campo, che è rappresentato da tutto ciò che è posto dietro al secondo piano di campo. In tal caso, il fotografo non dovrà fare altro che tenere in considerazione anche quello che è posto dietro al secondo piano.
5) Composizione dell’inquadratura
Con il termine composizione dell’inquadratura di una foto, intendo far riferimento sia ai soggetti (o oggetti) che devono essere parte dell’inquadratura di una foto sia a ciò che, invece, si decide di eliminare. Comporre in modo magistrale una foto è compito tutt’altro che facile perché la quantità di elementi presenti nell’inquadratura potrebbe rendere difficoltosa l’individuazione di quello principale, dirottando l’attenzione su particolari secondari o indesiderati. Il mio personale consiglio consiste nell’individuare, prima di uno scatto, l’elemento principale cui si voglia dare risalto, inserire nell’inquadratura, eventualmente, qualcosa posto sul secondo piano di profondità con il quale si trovi in relazione (o, laddove possibile, anche sul terzo piano), eliminare dall’inquadratura (ove tale operazione sia fattibile) tutto quello che risulta superfluo ed, infine, procedere allo scatto. In linea teorica, facendo seguito ad una filosofia “minimal”che io sposo in pieno, la migliore composizione dovrebbe essere quella in cui è presente in foto il minor numero possibile di soggetti (o oggetti). Si pensi che, spesso, foto molto suggestive raffigurano addirittura un solo elemento in tutta la scena! Fanno, ovviamente, eccezione a tale regola tutte quelle foto nelle quali la caratteristica fondante è rappresentata, ad esempio, da un susseguirsi seriale di più elementi simili tra loro.
6) Scattare molto per ogni sessione fotografica
Chiudo questo breve articolo con l’ultimo dei consigli che reputo importanti per migliorare il proprio livello fotografico. Scattare molte foto in ogni sessione fotografica non significa fotografare a caso, tanto per farlo, o scattare ripetutamente ed in modo sterile. Significa, invece, non farsi prendere dalla pigrizia e tentare svariate inquadrature del soggetto, magari riducendo o aumentando la profondità di campo; significa utilizzare differenti obiettivi, zoom o grandangolari, sperimentando i vari effetti che tali strumenti possono apportare alla foto; significa inquadrare un oggetto di buon’ora al mattino e tornare, magari, in un altro momento della giornata per valutare le differenti cromie dovute al diverso posizionamento del sole; significa, in sostanza, avere a disposizione innumerevoli foto, differenziate tra loro, cui attingere e tra le quali selezionare, con un inevitabile e consequenziale innalzamento di qualità del proprio lavoro fotografico.
Giovanni Somma
Steve McCurry, uno dei più grandi fotoreporter viventi al mondo, in mostra a Roma fino al 20 Aprile 2012.
Biografia: statunitense, classe 1950, Steve McCurry è noto in particolar modo per il celebre ritratto della bambina Afghana, pubblicato sulla copertina del National Geographic Magazine nel 1985, e divenuto, in seguito, una delle foto più famose di tutti i tempi. McCurry si distingue, inoltre, per essere stato uno dei primi cronisti fotografici a denunciare al mondo la guerra tra Afghanistan e Russia, introducendosi nel Paese islamico sotto false spoglie. In oltre trent’anni di carriera tanti sono stati gli scenari di guerra che hanno visto protagonista il suo attento “occhio” così come innumerevoli sono stati i riconoscimenti internazionali ed i premi ottenuti grazie alla sua attività di racconto e denuncia.
Ecco il link all’evento: clicca qui
Oggi si usa ed abusa, in fotografia, del termine “reportage”. Lui ne è stato il Padre.
Il Mito, Henri Cartier-Bresson, in mostra a Roma con 44 scatti fino al 6 Maggio 2012.
Segnalo di seguito alcuni utili link per attingere informazioni più dettagliate sull’evento.
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